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    Osservatorio Balcani e Caucaso
    29 giugno 2012


    Benvenuto tra gli armeni del Libano ita

    Paolo Martino


    Sull'altopiano della Bekaa, in Libano, in compagnia di Hrayer, un
    ragazzo della comunità armena locale. Tra ortaggi, alberi da frutto e
    un tragico passato. La prima tappa del reportage "Dal Caucaso a
    Beirut"

    Hrayer fende l'oscurità passo dopo passo, affidando la marcia a
    sporadici indizi sul terreno. In cielo, fasci di luce improvvisi
    intersecano la calotta innevata del Monte Libano, annunciando il
    giorno. `Siamo arrivati, meglio non avvicinarsi troppo alla
    frontiera'. Il ragazzone sprofonda sulla ghiaia, sistemandosi per un
    bivacco. `Proseguendo lungo il crinale fino a quella sella', la mano
    tesa verso sud indica un passo già schiarito dall'aurora, che a breve
    conquisterà anche questo lato del cielo, `sei già in Siria.' La parola
    lascia dietro di sé uno strascico di silenzio.

    La paglia brucia sotto il pentolino come benzina, senza fumo. `Qualche
    mese fa ti avrei accompagnato fin lì e oltre', l'acqua già bolle, `ma
    ormai il confine è un campo minato'. Mentre Hrayer versa il tè, un
    crepitio di pietre e zoccoli anticipa la comparsa in controluce di due
    cavalieri che scendono la costa della montagna. Hrayer fa il gesto di
    porgergli una tazza, ma loro alzano il braccio senza fermarsi,
    rotolando a valle. `Contrabbandieri?' E' la prima parola che pronuncio
    da quando mi sono svegliato. Hrayer soffia sul vapore, mentre la sua
    testa annuisce.

    A valle, un fuoristrada mattiniero spande dai finestrini le atmosfere
    trionfali di Aram Khachaturian, il compositore armeno che incantò
    Stalin, annullando lo spazio tra noi e il villaggio di Anjar, da cui
    siamo partiti a notte fonda. Hrayer sorride, mentre l'alba esplode in
    una valanga di luce che restituisce l'altopiano della Bekaa ai colori
    delle sue piantagioni. Finalmente assaporiamo il tè, dolcissimo:
    `Benvenuto tra gli armeni del Libano.'

    Dal mio diario. 5 ottobreVivo a Beirut da quasi un anno, ormai il
    tempo stringe. Rafi ripete che il mio interesse per la diaspora armena
    non mi porterà da nessuna parte. `Di noi armeni libanesi si dirà
    presto quello che si è detto di tutti gli armeni della storia: sono
    venuti e hanno costruito scuole e chiese - poi sono spariti.' Per
    giustificare la decadenza del presente Rafi affonda le dita nelle
    ferite della storia: `guarda Ani. La capitale millenaria di uno
    smisurato impero armeno è ormai dimenticata in un angolo di territorio
    turco, ridotta a vento e sassi. Noi armeni mediorientali stiamo
    affondando come Ani.' La fabbrica di scarpe di Rafi non produce a
    pieno ritmo da ormai troppo tempo; dai muri pendono ingobbite le
    fotografie dei primi anni '70, quando la guerra civile libanese era un
    incubo che poteva ancora essere rimandato. Tra i suoi dipendenti, due
    operai sciiti, un tornitore sunnita, un calzolaio curdo, due manovali
    siriani e un anziano cucitore maronita: neanche un armeno, nonostante
    la produzione sia nel cuore di Burj Hammoud, il quartiere di Beirut
    che da un secolo ospita la più grande comunità armena del Medio
    Oriente. Tentando di scoraggiarmi Rafi non fa che aumentare la mia
    curiosità per questo mondo che si è già avviato alla scomparsa.



    Sfrondati dalla potatura, i filari di mandorli e meli non oppongono
    resistenza al vento continuo dell'altopiano, mentre nei canali
    d'irrigazione che squadrano gli ottantamila ettari di Anjar scorrono
    quattro dita d'acqua limpida. `Sono stati progettati gli ingegneri
    dell'esercito francese nei primi anni '40, quando ci fu assegnata
    questa terra'. Passeggiando tra gli appezzamenti che circondano Anjar,
    Hrayer ripercorre la storia del suo popolo come se leggesse in ogni
    zolla le memorie delle generazioni di armeni che l'hanno coltivata
    prima di lui. `Aranci e melograni crescono meglio ai piedi del monte
    su cui ci siamo arrampicati stamattina, lì c'è meno vento e il sole
    scalda di più. Qui va bene per gli ortaggi, gli ortaggi hanno un
    bisogno continuo d'acqua'. Accovacciato sul ciglio di un invaso di
    cemento, Hrayer beve a mani piene.


    Libano, Hrayer guida armena nella Bekaa
    Circa un secolo fa, mentre in Anatolia si consumava il genocidio
    armeno, nel golfo di Alessandretta i sette villaggi armeni di Musa
    Dagh organizzarono una resistenza armata che per alcune settimane
    tenne testa alle truppe ottomane. Tratti in salvo da una flotta
    francese in transito, i superstiti poterono rientrare nelle loro case
    dopo quatto anni, quando nel 1919 la Francia mandataria estese i suoi
    domini siriani fino al fiume Oronte. All'alba della Seconda guerra
    mondiale però, Parigi scambiò quella regione con una promessa di
    neutralità di Istanbul nell'imminente conflitto, e Musa Dagh tornò
    sotto sovranità turca. La buonuscita offerta agli armeni fu un
    fazzoletto di terra nella valle della Bekaa, nel Libano mandatario
    francese, dove i profughi arrivarono stremati dopo due mesi di viaggio
    la sera del 12 settembre 1939, fondando Anjar.

    `Domattina andremo a cercare Angel, la donna più anziana di Anjar'.
    Hrayer arrostisce le kefte, spiedini di carne macinata e speziata,
    sulle braci estratte dalla pancia del falò, mentre dal buio in cui è
    precipitato l'altopiano della Bekaa non arriva che silenzio. `Lei
    potrà raccontarti dell'infanzia a Musa Dagh, della fuga, dei primi
    durissimi anni in Libano'. Dei cinquemilacinquecento profughi arrivati
    nel 1939, il freddo dei primi due inverni passati agli oltre

    -L'intero reportage --
    Vai alla pagina dedicata al reportage
    -mille metri di altitudine della valle ne uccise ottocento, uno ogni
    sette. `Di tutto quello che vedi intorno a te', sorride Hrayer, quasi
    che i suoi occhi possano penetrare l'oscurità, `non esisteva nulla. I
    profughi si arrangiarono in tende di stracci, mangiando radici. La
    resistenza dei combattenti di Musa Dagh nel 1919 contro i soldati
    ottomani non fu la battaglia più dura per i miei antenati. L'inverno
    della Bekaa fu un nemico molto più mortale'.

    Con il trasferimento in Libano, il destino dei profughi di Musa Dagh
    confluiva in quello delle centinaia di migliaia di armeni che
    vent'anni prima avevano trovato rifugio nel Medio Oriente arabo.
    Aleppo, Baghdad, Damasco, Amman: l'elenco delle città in cui si
    insediarono gli armeni sopravvissuti al genocidio contiene i nomi di
    tutte le capitali levantine. Luoghi in cui il cosmopolitismo, la
    contaminazione linguistica, il multiconfessionalismo e la coesistenza
    di diversi modelli economici e sociali offrivano agli esuli ampi spazi
    di integrazione. Tuttavia, disseminata ai quattro angoli della
    Mesopotamia, la neonata diaspora subiva il richiamo costante di un
    luogo che rapidamente si affermava come sinonimo di opportunità,
    sviluppo, cittadinanza, libertà: il luogo in cui si sarebbe
    strutturata la più grande, articolata, operosa e intrigata comunità
    armena del Medio Oriente, e che si sarebbe candidata al ruolo di testa
    pensante, interprete, portavoce e braccio armato dell'intera diaspora
    armena nel mondo: Beirut.

    Nel silenzio della Bekaa la suoneria del mio cellulare è un sussulto.
    `Sono Rafi. Il tuo uomo ha accettato di incontrarti domani mattina qui
    in fabbrica. Ha un aereo per Mosca nel primo pomeriggio, gli ho già
    detto che ci sarai'. I fari del furgone che mi riporta a Beirut
    accendono il giallo delle bandiere di Hezbollah, la milizia sciita che
    controlla l'altopiano. La barba ispida e il turbante del leader Hassan
    Nasrallah, ricercato numero uno di Israele e Stati Uniti, si replicano
    a ogni incrocio, ogni cavalcavia, ogni palo della luce, mentre a valle
    il cuore di Beirut già pulsa di luce arancione. Il saluto veloce a
    Hrayer è stato solo un arrivederci: le tracce che seguo disegnano una
    pista che presto tornerà ad incrociare la sua. Intanto la mente si
    immerge nella nebulosa di volti, luoghi e suggestioni raccolte nei
    mesi trascorsi a contatto con la diaspora armena per prepararsi
    all'incontro di domani mattina. L'uomo che aspettavo da mesi avrà
    finalmente un volto, Sarop il guerriero ha accettato un'intervista.

    http://www.balcanicaucaso.org/Dossier/Dal-Caucaso-a-Beirut/Dal-Caucaso-a-Beirut/Benvenuto-tra-gli-armeni-del-Libano-119048

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