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Cento anni dal genocidio armeno

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  • Cento anni dal genocidio armeno

    L'Huffington Post - Italiano
    27 mar 2015

    Cento anni dal genocidio armeno

    Niccolò Rinaldi , Vicepresidente Alleanza dei Liberali e dei
    Democratici per l'Europa


    Hitler aveva avvertito: "Chi parla ancora oggi dell'annientamento
    degli armeni?" (Wer redet noch heute von der Vernichtung der
    Armenier?), secondo questa frase attribuitagli nel 1939 da Louis
    Lochner, capo dell'ufficio berlinese dell'Associated Press, e ripresa
    in un rapporto trasmesso a Londra, il 25 agosto del 1939
    dall'ambasciatore britannico sir Nevil Henderson. A cento anni esatti
    dal genocidio degli armeni, possiamo rispondere: oggi sono pochi a
    parlarne, a scriverne, a ricordarsi di quell'immane carneficina.

    Il prossimo 24 aprile, data della commemorazione, ci sarà un
    soprassalto istituzionale - qualche solenne dichiarazione, una
    cerimonia, un po' di articoli - ma poi, verosimilmente, cadrà lo
    stesso silenzio che ha accompagnato finora questi mesi dell'anno del
    centenario del primo genocidio del Novecento. Peccato, perché si
    dovrebbe arrivare all'anniversario del 24 aprile preparati in quanto
    società collettivamente consapevole del suo dovere di memoria
    condivisa, e non commemorando un centenario con improvvisazione o
    addirittura come si timbrerebbe il cartellino dell'atto dovuto.

    "Dovere" di memoria, ma anche, soprattutto, "interesse". Potrebbe
    bastare l'attualità, la cruda cronaca di quanto accade anche agli
    armeni di Aleppo, o alle altre minoranze abbattute dal sedicente Stato
    Islamico, per convincersi che senza memoria siamo condannati a
    rivivere gli incubi del passato - la piccola grande verità detta tante
    volte, e mai capìta. Tanto più per una tragedia che ha fatto da
    apripista alla sequela di atrocità del secolo, una vicenda che ha
    fatto scuola, come le parole di Hitler tristemente confermavano.

    Tra le poche iniziative editoriali in occasione del centenario, la
    Giuntina ha pubblicato Voci ebraiche per l'Armenia, con gli scritti di
    quattro intellettuali ebrei - rappresentanti di un popolo che ha fatto
    della memoria una ragione di identità e di forza interiore - che
    all'epoca del genocidio avevano attivato le loro antenne e recepivano
    con preveggenza le conseguenze terribili di quanto avveniva.
    Denunciavano il nazionalismo spinto dei Giovani Turchi, ma non sfuggì
    loro nemmeno il ruolo collaborazionista della Germania, la "mentalità
    sconcertante" e l'ottuso "spirito di disciplina" dei suoi funzionari
    che, alleati dell'Impero Ottomano, furono complici del genocidio.

    Così nel 1915, tra massacri turchi, condiscendenza tedesca,
    strumentalizzazione russa, e lontananza se non indifferenza di troppi
    europei, sugli armeni si riversò una furia omicida di antica data.
    Dietro al milione mezzo di vittime - tutte civili, tutte morte per
    esecuzioni sommarie o di stenti nelle deportazioni che non
    risparmiarono né bambini né donne - si erano dati appuntamento secoli
    di persecuzioni contro il primo popolo ad aver accettato, come
    nazione, il cristianesimo, e sul quale si sono accaniti nella loro
    storia millenaria Nabucodonosor, Serse, Alessandro, i romani, i parti,
    i bizantini, i mongoli di Tamerlano, i saraceni, i crociati, fino agli
    ottomani e ai curdi.

    Il Novecento volle pareggiare i conti di questa lunga storia con il
    suo metodo maniacale: accumulando cadaveri con il primo genocidio da
    parte di un esercito regolare contro una popolazione inerme. Ammazzata
    spesso all'arma bianca e con metodi efferati anche solo per
    risparmiare le pallottole. Affamata fino alla morte. Sterminata in
    modo da tentare di annientare questa anomalia storica quale è da
    sempre la comunità armena, popolo unito dalla sua chiesa, popolo
    disperso ormai in tre continenti, eppure sempre capace di resistere.
    Perché la lezione del genocidio armeno è anche, come fu per la Shoah,
    la capacità di risorgere, grazie anche a una conoscenza che rende più
    forti. Simmetricamente, il rifiuto a riconoscere il genocidio da parte
    della Turchia contemporanea, che peraltro niente avrebbe da spartire
    con l'eredità ottomana, è una crepa di debolezza, l'insicurezza di chi
    non riesce a fare i conti con il passato.
    Ma biasimare la Turchia è ormai fuori luogo, perché ciascuno dovrebbe
    assumersi le proprie responsabilità. Nemmeno gli Stati Uniti hanno
    riconosciuto il genocidio, nonostante una sollecitazione del
    Congresso, per non incrinare l'amicizia di un alleato prezioso, e
    generoso anche di commesse militari, anche se ormai forse meno
    affidabile di prima. E se il parlamento italiano, come molti altri
    europei, ha riconosciuto il genocidio armeno da tempo, non per questo
    possiamo dire di "conoscere" e nemmeno di "riconoscere" questo evento
    per la centralità che ha nel XX secolo e per le conseguenze che si
    spingono fino a noi.

    Per la storia cento anni sono pochi. Allora almeno in questo 2015 si
    dia un senso all'anniversario moltiplicando le occasioni: una lezione
    specifica in ogni scuola superiore, iniziative diffuse da parte degli
    enti locali, l'inaugurazione di qualche monumento, un'attenzione
    speciale da giornali e televisioni, parole significative da parte
    della politica. Siamo ancora a inizio 2015, ma non si perda altro
    tempo: non possiamo mica dare ragione a Hitler.


    http://www.huffingtonpost.it/niccola-rinaldi/cento-anni-genocidio-armeno_b_6954590.html

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